Potrebbe veramente fare la differenza e contribuire a resistere per cambiare la società fin da ora. L’educazione è infatti alla base di tutte le idee e di ogni agire. Lo abbiamo detto e scritto tante volte.

Dal Manifesto dell’educazione diffusa ricordo questi concetti politici fondamentali:

“Fa comodo alle autorità mettere sotto scorta chi si muove in maniera imprevedibile ancora al di fuori del compasso ordinatore dell’ordine del lavoro. Fa comodo a chi li ha messi al mondo sapere che sono sotto protezione, non abbandonati a sé stessi e alle loro pulsioni mobili e variabili, liberandoli dal timore che si avventurino in zone ignote, alla mercé dell’inatteso e del sorprendente. Fa comodo a tutti sapere i bambini e i giovani fuori dal mondo.”

“Basta con l’obbligo, con il sacrificio e con la sottomissione, ogni fatica deve contenere in sé la sua ricompensa, deve essere l’anello di un tracciato di cui si coronano in tempi brevi continue tappe di soddisfacimento.”

“Costringerà a rallentare, a prestare attenzione, a farsi attori di cura, di attenzione, di comunicazione, informazione, orientamento. Interpellerà tutti, mostrando che si può abitare la città come un grande luogo collettivo (e virtuosamente mescolato), di conoscenza, di cultura, di esperienza, di operatività sensata.”

“La declinazione fattuale del Manifesto nell’”Educazione diffusa. Istruzioni per l’uso” consiglia e suggerisce strade per realizzare l’educazione diffusa nei contesti reali considerando prioritaria la dimensione  squisitamente pubblica e non privata e familiare dell’educazione in direzione di una intera società educante.”

“Superare l’idea della “scuola” come mondo confinato tra mura, distaccato dal resto della realtà e della società, in modo che il bambino e il ragazzo siano messi nelle condizioni di fare esperienze dirette nel mondo, quello vero, di ogni giorno. È la visione, fortemente innovativa, attorno alla quale Paolo Mottana e Giuseppe Campagnoli hanno formulato la loro proposta di educazione diffusa e di città educante. Che non è solo un concetto astratto, tutt’altro. È una logica, pianificabile e organizzabile, una nuova modalità per aprire ai giovani le porte dell’apprendimento e del sapere.
Si viene accompagnati  (sia come genitore, educatore, insegnante o qualsivoglia vocazione si abbia ) attraverso un percorso chiaro e concreto per capire “come si fa” e “con chi si fa” l’educazione diffusa. Per cambiare veramente paradigma educativo, anche da domani. Basta volerlo.”

Con l’educazione diffusa ognuno viene riconosciuto come persona umana nelle sue caratteristiche costitutive di unicità, irripetibilità, inesauribilità e reciprocità. L’educazione non deve fabbricare individui conformisti, ma risvegliare persone capaci di vivere ed impegnarsi: deve essere totale non totalitaria, vincendo una falsa idea di neutralità scolastica, indifferenza educativa, e disimpegno. L’educazione diffusa promuove l’apprendistato della libertà contro ogni monopolio (statale, scolastico, familiare, religioso, aziendale).

In poco tempo si potrebbero educare nuove generazioni  al senso critico ed alla libertà di apprendere e di pensare anche partendo dalla realtà  e coinvolgere tutte le altre  generazioni in tutto il territorio  per una rivoluzione sottile che scongiuri il percorrere le  brutte strade che la società per colpa di certa politica sta pericolosamente intraprendendo.

Scrive altresì Paolo Mottana:

“Introdurre l’educazione diffusa nella società, come già molte volte sottolineato, non significa semplicemente portare i ragazzi e i bambini fuori dalla scuola a fare esperienze necessarie alla loro formazione. Significa prendere il mondo come oggi si presenta in tutte le società occidentali e occidentalizzate e rovesciarlo da capo a fondo.
Quello che noi ci proponiamo è che la presenza rinnovata di una parte assai cospicua della popolazione fino ad oggi relegata dentro gli istituti di soffocamento e educastrazione che chiamiamo scuole e che -come ci han ben spiegato Althusser, Foucault e Goodman (tra altri) sono sistemi di soggiogamento e addestramento all’accettazione dei sistemi di potere, in virtù del trattamento dei corpi e delle menti che in essi si praticano-, cambi radicalmente il nostro modo di vivere.
I bambini e i ragazzi che rientrano nella vita sociale, a partecipare, a contribuire, a offrire il loro punto di vista e a imparare, debbono costringere tutta la compagine sociale a interrogarsi su come offrire a questi suoi figli occasioni vitali di presenza piena, di condivisione, di vita intensa insieme a tutti gli altri. Le vie esperienziali che Giuseppe Campagnoli ed io abbiamo suggerito, e cioè servizio sociale, lavoro, cultura simbolica, indagine, corporeità, natura fan sì che bambini e ragazzi entrino nel vivo della società e non siano semplici spettatori.
Ciò significa che il loro sguardo e la loro sensibilità, da sempre più acuti e ancora non intaccati dal ricatto del denaro e del lavoro salariato, non possano non influire sull’andamento della vita generale.
La loro presenza influirà sulla forma delle città, della viabilità, dell’architettura, costringendo a pensare territori che siano in grado di ospitarli non per fare improbabili città dei bambini ma città a misura di tutta la popolazione nella sua integrità e differenziazione.”

“Crescere insieme a tutti gli altri soggetti permetterà ai più giovani di rendersi conto presto di cosa significa società, lavoro, sfruttamento, diritti, insomma quello che astrattamente nelle scuole si chiama educazione alla cittadinanza e alla democrazia (qualcuno un giorno mi spiegherà come si possa insegnare democrazia e cittadinanza in un luogo totalmente privo di democrazia e completamente separato dalla città e dalla società reale) . Non più educazione civica ma esercizio di cittadinanza piena, di presenza nelle vie del mondo, non con i parlamentini dei bambini ma con la loro partecipazione attiva nei quartieri, nei luoghi di vita reale.
Sappiamo bene quanto i più piccoli non abbiano ancora spento la percezione acuta di ciò che è disarmonico, del danno recato all’ambiente, agli animali, alla vita. Essi possono diventare un veicolo di riscatto per tutto ciò e una forma di vigilanza attiva al rispetto di ogni forma di esistenza singolare nella sua differenza.
Bambini e ragazzi nel mondo non potranno che modificare i nostri ritmi, allietare il nostro sguardo, ammorbidire la durezza con cui oggi ci si muove nell’esclusivo perseguimento del proprio interesse personale e del proprio successo.
A tutto questo e molto altro mira l’educazione diffusa, o quella che abbiamo chiamato la città educante ma che forse sarebbe più appropriato chiamare la città liberata, la città viva, la città della convivenza amorevole e generosa, dell’attenzione, della cura e del piacere.”

L’educazione infatti è alla base di tutte le idee, scrive Giuseppe Campagnoli su Comune-info.net

“Attraverso l’educazione è possibile costruire o ricostruire l’idea della pace (e della guerra) come della salute, dell’economia, della città, della natura, della politica, della proprietà, della vita in generale. Ma la condizione fondamentale è che l’educazione avvenga principalmente attraverso l’esperienza e la vita stessa con una serie infinita di quello che in tanti chiamano lo choc educativo che avviene durante le tante esperienze e le osservazioni, le ricerche, le incidentalità, gli studi e le restituzioni e condivisioni in corpore vivi e che si esplicano attraverso un’intelligenza unica, multiforme e multisenso. Il tutto nelle varie scene dell’apprendimento che vanno dal corpo alla natura, all’immaginazione  all’arte, alle storie tratte dalla realtà e dalla fantasia, dalla scienza che cerca e ricerca senza fine e senza dogmi, dalla lingua che è pensiero e delle relazioni umane che non sono separate fra di loro ma rappresentano una interconnessione continua di contatti molteplici e multiformi. Istruzione, addestramento, formazione sono invece le sovrastrutture parziali e strumentali dell’educazione che non può essere per sua natura codificata e cristallizzata in procedure, programmi, valutazioni competenze e conoscenze determinate dai vari poteri dominanti più o meno sulla base di consensi discutibili quando non indotti o obbligati palesemente o subliminalmente. Conoscere, sapere e saper usare liberamente la realtà e le storie, la creatività e l’immaginario in una accezione collettiva e cooperativa possono mitigare e orientare in senso positivo gli stimoli naturali ai conflitti e all’aggressività se il cosiddetto “mutuo appoggio” fondamentale in natura (cfr. Kropotkin) lo diventasse anche per l’animale della specie umana. L’educazione può, nel tempo salvare il mondo, purché sia libera, diffusa e integrata nei diversi momenti e luoghi della vita, quasi istintiva, sicuramente incidentale.”

Si tratterebbe, in definitiva, di mettere in campo una sorta di rieducazione globale (non certamente in una accezione ”cinese”) fondata su una serie infinita di libere esperienze con mentori, esperti e maestri di mondo, realizzata permeando istituzioni, città, territori non necessariamente riformando con burocrazie e istituzioni ma “infiltrando” i concetti e gli ambiti di istruzione, formazione, comunicazione con le idee e le pratiche già da tempo proposte e in parte anche “provate” dell’educazione diffusa. Si attendono altri illuminati “spioni e informatori” della società educante oltre a quelli che sono già meravigliosamente all’opera in non poche realtà, anche sottotraccia.Chissà che non si riuscisse a distinguere un briciolo di realtà dalle mille verità costruite, contrapposte come strumenti di potere e di controllo economico, politico e sociale. Chissà che lentamente le persone non si rendano conto che le loro convinzioni, a volte anche quelle apparentemente trasgressive o controcorrente, non siano invece indotte dall’ignoranza costruita su mille verità manipolate, sulle bulimie mediatiche e transmediatiche di social, giornali, tv, a senso unico (il mercato che li gestisce) dai pontificatori, frullatori di pensieri e di idee, sublimi confezionatori di brodi di notizie-fiction, filosofi, scrittori, reporter pro domo sua e mezzi busti d’assalto? Verità e dogmi di tutte le risme sono passati e si sono sedimentati per generazioni e vi passano ancora, attraverso la cosiddetta “istruzione”, pubblica o privata che sia, con i loro strumenti di controllo, classificazione, selezione e infine reclutamento tra le fila di chi ha o avrà potere sulla comunità e di chi obbedirà senza problemi alle leggi, alle notizie, ai racconti, alle favole terribili o seducenti costruite proprio ad usum delphini.Probabilmente con una educazione profondamente e radicalmente diversa il pensiero critico e creativo sarebbe prevalente e porterebbe se non altro a osservare la realtà senza schermi e schemi prefigurati e a farsi più domande ed esprimere dubbi più che certezze indotte e “guidate”. Ci vorrà forse qualche anno ma ne varrà senz’altro la pena.”

Un manifesto che non resta sulla carta come si legge su educazionediffusa.net

“L’idea, che solo a prima vista parrebbe un po’ utopistica, è quella di costruire percorsi autonomi, dal basso sia dentro che fuori dalla cosiddetta scuola pubblica (come ad esempio la scuola degli Elfi di Cagliari, o quella dell’Officina del fare e del sapere di Gubbio ) pronti un giorno a rifondare insieme una società educante, in forma di vera cooperazione sociale diffusa e numerosa. Una immensa rete carbonara dell’educazione che farebbe tanti splendidi virtuosi danni alla pedagogia imperante !! Tutto ciò che si prefigura, nell’attuazione del progetto di educazione diffusa, si realizza allora in autonomia nella società, senza alcuna iniziale implicazione statale ma con una forte connotazione collettiva. I costi in un’ accezione di mutuo soccorso non sarebbero poi tanto superiori a quelli che ahinoi le famiglie comunque sopportano nel complesso per la scuola pubblica (trasporti, contributi, libri e sussidi, attrezzature, tasse più o meno dirette…) mentre una rete di luoghi scelti ad hoc, insieme a tempi e modi radicalmente diversi, riuscirebbero anche a distribuire e ridurre gli investimenti che oggi gravano sull’edilizia e l’organizzazione scolastica fatta di burocrazie, ruderi e gabbie dorate.Si prosegue nell’idea di educazione diffusa avviando quando e dove possibile, approfittando anche degli spazi ancora fruibili della normativa, il percorso esplicitato nel volume di Paolo Mottana “Il sistema dell’educazione diffusa” pubblicato per Dissensi Edizioni. Insegnanti, mentori, esperti e risorse materiali insieme ad amministrazioni coraggiose sarebbero ben coinvolti in un’ampia accezione cooperativa.

Parallelamente continuerebbe la formazione destinata a docenti, associazioni, amministratori locali, per proseguire, comunque e malgrado tutto, l’azione di virtuosa infiltrazione con esperimenti estemporanei o sperimentazioni formali negli ambiti educativi pubblici possibili e praticabili. L’educazione diffusa avviata in forma cooperativa non sarebbe così il rimedio ad una eventuale preclusione di fatto della scuola pubblica a qualsiasi radicale innovazione che sappiamo invece quanto mai urgente, da tempo? Mai come ora non sarebbe indispensabile unire le energie che operano di fatto in una direzione compatibile con l’idea di educazione diffusa? In tempi migliori si potrebbe pensare di far rientrare nel pubblico statale ,ormai svuotato a causa del nuovo classismo , il percorso così sperimentalmente collaudato e provato sul campo, da una nuova rete di esperienze impegnate in questa sottile rivoluzione in campo educativo. Al tempo stesso si manterranno ed aumenteranno quelle esperienze che dovessero ancora  «passare » nel pubblico disobbediente o distratto. Una strada lunga ma forse per certi aspetti, di questi tempi ,obbligata seppure sicuramente più appassionante nella sua caratteristica di sottile sommossa educativa, quasi un ’68 in revival per aprire diffusamente occhi e menti non solo di bambini e ragazzi. Chi aderì e continua ad aderire anche con i fatti al Manifesto dell’educazione diffusa non potrebbe coinvolgersi in questa proposta in modo attivo a partire dai propri luoghi? 

Non c’è altra strada a nostro avviso per superare la scuola classista, classificatoria e costruttrice di nuovi analfabetismi sempre funzionali per chi governa l’economia, la politica e tutto il resto nel mondo. Sarebbe una sottile rivoluzione non violenta ma diffusa e resistente, valida non solo per il nostro paese ma per tutto un insieme di società ormai omologate a tutte le latitudini ad un deleterio pensiero quasi unico fondato sulle gerarchie, le disuguaglianze, le discriminazioni, i complottismi e i domini dei mercati e degli sfruttamenti.

La redazione di educazionediffusa.net

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