Se da noi ora cè la galera per chi non manda i figli in questa scuola che è essa stessa quasi una “galera” altri segni si preparano sulla scia dell’autoritarismo di ritorno che si fonda sull’ordine, l’obbedienza, l’irregimentazione, la militarizzazione della vita. In Francia, con un governo che per me è già di centro destra e ammicca all’estrema oltre alla diatriba sulla laicità si affacciano i segni della reazione.

Divisa scolastica, il ritorno della “reazione”
DI THOMAS LEGRAND ARTICOLISTA POLITICO


Per i reazionari di ogni tipo, il passato è un baule magico da cui attingere tesori costantemente rinnovati. “Era meglio prima”, soprattutto perché i politici mentono volentieri sul passato. Siamo abituati a criticare gli eletti e le loro belle promesse per il futuro, ma potremmo soprattutto rimproverarli per i loro discorsi sul passato. Non il passato reale, ma questo passato fantasticato, questo passato ingrandito, così come ce lo raffigurano secondo la loro memoria sempre selettiva.È sempre più facile reinventare il passato che immaginare e costruire il futuro. .
Lo stesso vale per l’uniforme scolastica. La consueta (e non nuova) vulgata della destra, di Ségolène Royal ma anche delle macronie banderuola, è quella di proporre questa idea geniale: “Il ritorno della divisa a scuola”. Così, sulle orme di Eric Zemmour durante la campagna presidenziale, dopo Louis Aliot, sindaco della RN di Perpignan, tutte queste belle persone oggi vantano il “ritorno” dell’uniforme. Il presidente di LR, Eric Ciotti, invita il governo a “generalizzare il ritorno della divisa”. Zemmour, Ciotti e gli altri ricordano sicuramente la loro infanzia, quando, ogni mattina, si mettevano i pantaloncini e la giacca blu o grigie per andare a scuola. Beh, no in realtà. In Francia non c’è mai stata una divisa sui banchi delle scuole pubbliche. (Da noi ahimè invece si NDR) Questi ricordi sono reinvenzioni fantastiche o false. Entrambi allo stesso tempo, senza dubbio.


Allora è vero che alle elementari c’era il grembiule. I vecchi come me se lo ricordano. Mi vedo in seconda media (così si chiamava nel 1971), stavo mettendo il grembiule per entrare in classe. Credo che fossi addirittura delegato a controllare che ogni sera i grembiuli fossero appesi agli attaccapanni giusti. Non erano uniformi, ce n’erano di tutti i colori. Prima, negli anni ’50 e ’60, nei piccoli centri tutti avevano lo stesso modello, perché in negozio ce n’era solo uno, e, in effetti, poteva dare (come in I bottoni di guerra, il film di Yves Robert uscito nel 1962) l’impressione di uniformità nell’abbigliamento. Inoltre, quando vediamo i film dell’epoca, il bianco e nero stabilisce l’impressione monocromatica nella nostra memoria collettiva.


Il grembiule è poi scomparsa negli anni 70. Ebbene, la colpa è del 68 e “pedagogismo” diranno i neoreazionari per le quali tutto è colpa del 68 e del “pedagogismo”. Ebbene no, nemmeno quello. Il grembiule scomparve contemporaneamente alla scomparsa delle macchie di inchiostro sui vestiti, con la diffusione combinata della penna a sfera e della lavatrice in quasi tutte le case. Niente a che vedere con la scomparsa dell’autorità… Solo una storia di inchiostro e vestiti. In definitiva, il ritorno – per una volta – del grembiule, ma solo di quello, potrebbe essere difeso dagli ambientalisti in un’ottica di sobrietà: un grembiule significa meno magliette macchiate e quindi meno viaggi alla lavatrice – si noti lo sforzo di trovare compromessi transpartitici -.Alla destra si direbbe: state sereni perché ora si potrebbe effettivamente parlare di “ritorno” al passato senza dire sciocchezze.”

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